Entropia – l’arte di esplodere

Entropia – l’arte di esplodere

La parola di oggi è entropia. Nella termodinamica, l’entropia si verifica quando si ha una trasformazione per cui un corpo passa da uno stato iniziale ad uno finale, generando calore. 

Non scrivo da un anno e fa davvero effetto. Non mi ricordo più come mettere in fila i pensieri, come affidarmi alla tastiera per srotolare parole dietro parole. Però, sento l’entropia dentro che mi spinge a scrivere. E di fronte a questa affermazione puoi scoppiare a ridere, considerarmi una matta o terza ipotesi, prendermi sul serio.

Parte tutto da un concetto: cercasi calore. Umano. Poi si evolve in un caos in cui ti perdi e se anche riuscissi a capire qual’è l’inizio e quale la fine, dentro si muovono troppe particelle, atomi incontrollabili, mine vaganti, schegge di vetro, stelle in collisione, brandelli di carne, pulviscolo atmosferico, ricordi frammentati, momenti non discussi, bocche non baciate, sguardi persi, attimi di fiato sospeso, acqua salata, granelli di sabbia, mani sfiorate, angoli di corpo inesplorati, occhi profondi in cui ti sei perso.

Amavo definirmi caoscalmo in continua evoluzione. E forse è ancora così. Però ho conosciuto l’entropia. Quella che ti sconvolge e ti sconquassa dentro quando ami. Quella che ti fa salire il calore in corpo e lo tiri fuori esplodendo.

A volte bruci e sei affascinante. A volte divori quello che hai intorno. A volte sei consumato dalle fiamme. 

Ma alla fine è sempre questione di calore. Umano.

S.

Che vita sia.

Che vita sia.

Avevo smesso di scrivere. Mi è successo, all’improvviso. Ero presa dagli eventi, dai programmi, dalle scadenze, dalla vita frenetica e all’improvviso ho perso il tempo per dedicarmi a me stessa. Ammetto che c’è anche stato un momento in cui mi sono chiesta il motivo per cui scrivere su un blog, il perchè abbia senso mettersi sotto gli occhi di tutti, sottoporsi anche a critiche.

Mi sento strana. A volte faccio fatica a ricordarmi che sono tornata da Rotterdam, che ora vivo a Milano e devo fare i conti con quel passato da cui sono fuggita un anno fa.  Spesso mi ignoro. Sì, intendo dire ignoro quelle sensazioni viscerali che ti portano a suonare campanelli e dire tutto di un fiato cazzovaffanculoiotiamomanontiamopiù e poi riprendi fiato e spari a raffica cazzomihairovinatolavita. Allora soffoco l’aria, i pensieri e sorrido.

Gente, ho imparato a mie spese un po’ di verità:

La verità amara, nuda e cruda è che nessuno si salva da solo, ma se devi uscire fuori dal buio, lo devi fare in solitudine. E più arredi il tunnel, più continui a perderti.

Sei solo, anche quando sei circondato da persone. Sei solo anche quando pensi che qualcuno ti ami davvero. E non per loro cattiveria, ma perchè neanche le persone più sensibili possono capire davvero come ti senti quando il gioco inizia a farsi duro.

Solo quando vivi sulla tua pelle un’emozione, un dolore, una sensazione, una paura, comprendi a fondo cosa significa. Pensare di comprendere gli altri in tutto e per tutto è solo segno di presunzione.

Mia madre mi ha dato l’insegnamento sbagliato: ama gli altri più di te stessa. Se ti fanno male, comprendine le ragioni e perdona. No, mamma, no. Dovevi dirmi: ama te stessa, perchè il mondo è un oceano di squali che ti sbranano non appena sanguini.

Ogni attimo che perdi, non ti torna indietro. Dovremmo prendere più treni, tornare a casa dalla famiglia, rimanere un secondo di più a letto, baciare più a lungo, smettere di litigare per cose insulse, ma fare di più l’amore da incazzati che ti fa sentire ancora di più la necessità dell’altro. Dovremmo gustare di più il cibo, socchiudere gli occhi più spesso, cantare a voce alta, sorridere con gli occhi oltre che con la bocca, perdere il tram e fregarsene perchè la vita non è solo lavoro, impacchettare vestiti nelle valige e partire perchè ogni volta si rinasce, alzarci con la voglia di essere felici, evitare di perdersi perchè a ritrovarsi si fa fatica, ci vuole tempo e noi di tempo non ne abbiamo.

Ogni attimo che perdi, l’hai perso per sempre e non servirà avere rimpianti. Chiedersi “E se”. No, non possiamo vivere di se. Non possiamo scegliere la strada più comoda. Non possiamo vivere a metà. Non possiamo amarci al 50 e 50. Non possiamo restare, se vogliamo lasciarci. Non possiamo legarci, se vogliamo essere liberi. Non possiamo tradirci. Non possiamo sporcarci l’anima, perchè con quella ci conviviamo fino alla fine. 

 

Che vita sia.

 

Io ti amo, ma tu non vali un c****.

Io ti amo, ma tu non vali un c****.

Non scrivo da Settembre. Settembre, Ottobre, Novembre, Dicembre. Quattro mesi confusi e parole urlate in silenzio.

Così oggi ho deciso di ritornare, che poi tanto scrivere per me è sempre stato un atto catartico. In viaggio in auto da Milano a Roma, ho pensato un po’. Mi diresti: “Guida e non pensare!”, perchè ogni volta che viaggio poi ti arriva un messaggio di whatsapp. Una riflessione su di noi, una ricerca disperata di attenzione, una porta da sbattere in faccia.

Tu che di tempo non ne hai mai. Tu che fosse solo la mancanza di tempo, noi saremmo perfetti. Invece no, tu sei codardo con l’amore degli altri. E stavolta l’amore è il mio.

Te lo ricordi il libro che ho iniziato a scrivere quasi un anno fa? Ero a Rotterdam, con le lucine di Natale accese, una tazza di tisana e ti inviavo la mail con la bozza dei primi capitoli. Noi due. Un gran caos.

Dopo due anni, ancora oscillo tra l’amarti e l’odiarti. Mi appello ai momenti condivisi insieme, al modo di tirarci fuori da certe situazioni. Ma poi vedo il vaso pieno di tutto traballare, traboccare, sbroccare. Esce fuori tutto: le assenze, una vita sentimentale da codardo, tu che dici “Quando dici ti amo, io sento un vuoto.”, gli occhi scuri, la pelle che mi scalda, una carezza, una porta chiusa. Tante porte chiuse. Riaperte. Chiuse.

Altalena di sentimenti e vigliaccheria. Altalena di abbracci e spalle voltate.

Io ti amo, ma tu non vali un cazzo.

Nel mare mosso con la barca a remi

Nel mare mosso con la barca a remi

Non scrivo da tanto, perchè ero presa a fare le valigie. Dovevo tornare.

L’Erasmus era finito, ma avevo scelto di rimanere. Poi lo stage è finito e un anno all’estero è volato. Così ho preparato i bagagli e sono tornata a casa, quella sperduta tra i boschi. Però non mi sono ritrovata. O meglio, la mia resilienza fa si che io mi adatti subito, ma per un po’ mi sono chiesta dove dovevo essere davvero.  La prima notte, mi sono svegliata all’improvviso e non capivo su quale letto stessi dormendo. Poi ho realizzato che ero a casa e che sarebbe stato bene calmarsi.

Dopo 3 giorni ho preparato il trolley per una settimana al mare con la mia migliore amica. Mi ha detto: ” Adesso basta. Hai 23 anni, non possiamo vivere come se ne avessimo 50. Non possiamo accollarci i problemi di tutti. Non puoi amare chi non ti ama. Perchè non inizi a volerti bene? Adesso di giorno andiamo al mare e la notte andiamo a ballare, come quando eravamo adolescenti. Siamo belle. Siamo donne. “

Così per una settimana ho provato a ritrovare quella parte di me che ho accantonato, quella leggera, che io leggera poi non sono mai stata. Non ha funzionato. Perchè i messaggi arrivavano lo stesso, i dubbi mi mangiavano e il baricentro l’avevo perso di nuovo. Ho rifatto la valigia e sono tornata a casa. Quindici giorni e ho rimesso le cose dentro il bagaglio a mano, per farmi una vacanza con la mia famiglia.

Una vacanza che vacanza non è stata, perchè se ti sei persa il centro di te stessa, non stai bene con nulla. Email di lavoro, mail per la tesi che non trova proprio la sua strada, messaggi da chi pensi che per una volta possa lasciarti in pace dopo due anni di incertezza.

Perchè oggi va di moda così. Essere codardi con l’amore altrui. Amare senza amore. Progettare senza sicurezza. Salpare per porti ignoti senza sapere dove andare, con chi andarci. Andare da soli perchè si va lontani, ma fermarsi a farsi amare perchè i soldi non bastano, l’ambizione nemmeno. Ed arrivi su, in alto e dentro sei in basso.

Ho proprio una crisi e i giornali dicono che arrivi a 25 anni, ma a me è arrivata precocemente a 23. Voglio correre e andare, ma non posso fuggire. Perchè mi sono costruita per un anno, da sola, ma sono fuggita.

Ho chiuso la porta alle spalle un anno fa, come oggi ho chiuso la tapparella dell’ingresso. Significa vi prego statevene fuori. Lasciatemi in pace con la vostra ipocrisia. Smetti di essere codardo con il mio amore.

E tra queste due stanze, ho ritrovato il coraggio di scrivere. Anche se il libro che stavo scrivendo l’ho abbandonato. Mi fa male persino credere a quella storia.

Tra queste due stanze, cerco di capirmi. Sembra essere un momento dove non c’è certezza in nessun ambito. Uno di quei momenti da cui devi tirarti fuori da sola, perchè non puoi chiamare chi ti ha ammazzato.

E forse tutto questo serve a dire: ok, non sono scappata. Ne esco fuori. La valigia in cantina, il letto rifatto, i fiori che danno un tono di colore sul tavolo di vetro, nel mare mosso con la barca a remi. Però da qualche parte il sole si nasconde dietro le nuvole nere.

Non fare caso a questa impertinenza.

Non fare caso a questa impertinenza.

Sono tornata davanti alla pagina, davanti al cursore che pulsa e che sembra volermi dire: oggi che cosa vuoi vomitare? Oggi che cosa ti fa paura? Che cosa non sai affrontare?

I Negramaro risuonano nelle cuffie.  Ricordati degli angoli di bocca. Mi salgono i brividi, ogni volta che sento la voce di Giuliano graffiarmi le orecchie. E mi salgono sempre le lacrime. Quelle che sono fatte di molecole di ricordi, di dolore intrappolato in H2O.

Non fare caso a questa impertinenza, stai attenta, stai attenta almeno a te. 

E vorrei proprio dire che io so stare attenta, che so come si sopravvive agli sbalzi di amore. L’ho imparato, sai. Intendo dire come si ama. Ho capito come si ama e cosa non è amore. Eppure non ho ancora capito  nulla. Paradossalmente paradossale, sto ancora ad incidere parole nere su uno sfondo bianco, sperando che trovino senso. Sulla carta. Almeno sulla carta.

Parlami della tua faccia. Parlami di chi sei. Parlami di chi sono. Parlami del senso di tutto. Ricordami delle mille maschere, di quando te le toglievi, le lasciavi sul comodino e ti stendevi sul letto e le lenzuola ci coprivano, lasciando fuori il mondo, la realtà.

Ma poi chi sono? Chi siamo?

C’è una ragazza sola
che da sempre aspetta il ballo

L’amore qui non passa mai

Nel bacio degli amanti
che si scambiano i silenzi
c’è una storia da buttare

l’amore qui non passa e bruci forte ancora.

 

Nell’ombra dei ricordi
di chi non ha mai vissuto
c’è uno che somiglia a te
e non l’hai riconosciuto
nei soldi che contiamo
c’è una smania devastante
di rimpicciolire il tempo
di accorciare le distanze

 

Nei segni che conservo
sulla pelle sei cicatrice
se bruci forte ancora
non è vero quel che si dice
da qui è passato amore
e se n’è andato svelto
ma sei rimasto mio
sei intrappolato dentro

E bruci ancora.

 

Resilienza

Resilienza

Ne parlano tutti, pochi ce l’hanno, io non la ritrovo più.

“I’ve been reading books of old
The legends and the myths
Achilles and his gold
Hercules and his gifts
Spiderman’s control
And Batman with his fists
And clearly I don’t see myself upon that list.”

Cantano i Coldplay e le parole le sento risuonare in testa come un martello contro l’incudine.

Ho letto libri del passato, Le leggende e i miti
Achille e il suo oro
Ercole e i suoi doni
il controllo dell’Uomo Ragno
e Batman con i suoi pugni
e ovviamente non mi vedo in quella lista

Le ore passate sopra ai libri di greco, il naso nascosto nella polvere delle pagine ingiallite a perdermi dentro la storia, dietro le gesta di chi sembrava avere doni soprannaturali. Gli anni passati a chiedersi chi potevo essere, chi potevo diventare. I minuti passati a capire come dovevo comportarmi per non ferire gli altri, per non uccidere me stessa, per sopravvivere quando l’aria non arrivava ai polmoni. Ventitre anni e forse non è ancora risolto il mistero della vita.

“Where’d you wanna go?
How much you wanna risk?
I’m not looking for somebody
With some superhuman gifts
Some superhero
Some fairytale bliss
Just something I can turn to
Somebody I can kiss”

E non cerco uomini con i superpoteri, ma quelli semplicementi tanto fragili che devi rimettergli a posto pezzetto per pezzetto e capita pure che non riesci a trovare tutti  i pezzi. Qualcosa si rompe e il puzzle fa maledettamente schifo.  Non cerco favole, ma quanto vuoi rischiare?

Mia madre mi ha insegnato a guardare alle persone migliori di me, a quel gradino che manca sempre per arrivare all’apice, a quello spazietto per cui non sei quello che potenzialmente potresti essere. Il risultato? Un senso di impotenza la maggior parte delle volte ed un senso di onnipotenza quando arrivi dove gli altri non arrivano. E raggiungere i tuoi obiettivi costa. Alla maggior parte delle persone manca la sensibilità di capire che non si è bravi per nascita, ma che sudi e guadagni qualcosa.

E poi  un bel giorno capisci che nonostante tutto quello che sei, nonostante la forza con cui ti sei appigliata per non cadere, nonostante la testardaggine di rimanere a galla rinventandoti, nonostante la tua resilienza, beh quel giorno capisci che non tutto può essere sotto controllo. Non tutto.

A volte mi dico di mollare. Ma si molla ad un passo dalla fine?

Così continuo ad alzarmi ogni mattina e a convincermi che quello che può sembrare una sconfitta, in realtà è terreno fertile per un’ulteriore crescita. Continuo a dirmi che anche se oggi non respiro così bene, non sono nata perdente. Continuo a blaterare che se adesso non so proprio quale direzione prendere, a forza di insistere, una soluzione esce fuori.

Penso ai miei ultimi mesi, ad un’altra valigia pronta per un’altra partenza. Ad un altro capitolo che si chiude. Ed io che scrivo, dovrei sapere che non puoi scrivere tre capitoli insieme, ma che c’è un ordine cronologico per far fluire le parole nel modo giusto sulla carta.

Se non sai uscire dal tunnel, per il momento, arredalo.

 

Produttività

Produttività

Molecoledisperanza

Oggi è un mese che mi sono imbarcata in una nuova avventura: nuove persone, lingua straniera, una città mai vista prima di allora. C’erano quasi quasi le carte giuste per poter avere paura e rimanere paralizzati per aver fatto un passo troppo lungo della gamba, soprattutto quando sai che non lasci situazioni rosee a casa.

A discapito di chi diceva che sarebbe stato difficile, che sarebbe stato normale avere la voglia di alzarsi dal sedile dell’aereo e scendere a terra, di chi diceva che l’inizio era molto difficile, direi che non c’è termine più giusto di resilienza che mi calza a pennello come un vestito che scende morbido sui fianchi.

Nell’Odissea, Ulisse viene descritto come polutropos, versatile.

Nella vita sono stata versatile spesso, dagli sport, dalle porte chiuse in faccia e i sorrisi indossati, dalle persone perse della mia famiglia, dalle difficoltà incontrate. Si deve abbracciare tutto e farlo depositare…

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Le cuffie e tre stelle

Le cuffie e tre stelle

Stasera me ne sto di fuori in piazzale, giacca di pelle e coperta di lana.  Ci sono 15 gradi, ma qualche stella inizia a trovare il suo posto su nel cielo. Mi sembrano tutte luminose da far paura, ma so che qualcuna lo è di più e sono solo quelle immensamente brillanti ad attirare la mia attenzione. Come quando eravamo distesi a parlare del cosmo, della nascita delle stelle, delle teorie della formazione della Terra ed avevo freddo e tu mi stringevi a te. Il mondo mi sembrava equilibrato così e pensavo di aver trovato il mio posto accanto a te, sotto quel cielo dorato di stelle.
Stasera mi sono ritrovata a parlare con un ragazzo di Miami. Oltreoceano. Mi racconta chi è, gli dico un po’ chi sono. Le cuffie in testa,  una giacca che mi stringo addosso dal freddo, tre stelle e un’ impensabile conversazione. Tutto sommato, la vita è  tutto quello che non ti aspetti mai.

Però, te lo dico lo stesso. Mi sento un po’ una disagiata emozionale. Sì, insomma noi che con le emozioni e sensazioni siamo disagiati ci dovremo pure chiamare in qualche modo! Ho inventato questo appellativo.

Amiamo troppo e non sappiamo dimostrarlo. Collezioniamo file di malati mentali e casi umani che dopo aver aiutato, ci abbandonano. E la cuffia che amplifica i bassi e tre stelle non bastano a tenere a bada il caos che esplode nella nostra testa.

Sono una disagiata emozionale, però quando mi baci, siamo in due ed è tutto quello che serve per far combiaciare i pezzi.

L’Oltre-dimensione

L’Oltre-dimensione

Forse quel giorno scopriremo che hanno trovato l’oltre-dimensione.

6 maggio.

Ci sono persone che restano unite per sempre. C’è un filo rosso che le lega. Il filo può allungarsi, accorciarsi, attorcigliarsi, tendersi tanto da pensare che stia per lacerarsi.

E poi ci sono le scelte. Le scelte escludono ed includono allo stesso tempo. Le scelte sono più forti del filo. Hanno in mano quella matassa di fibre di tessuto, lo attorcigliano e poi lo accorciano e nel giro di un attimo ti trovi davanti alla persona che ha l’altro capo del filo.

E poi c’è il tempo. Quello che si dica che fugga più di ogni altra cosa, ma anche quello che dovrebbe lenire le ferite ed attenuare il dolore.

Quindi, ricapitolando, c’è il filo rosso, le scelte e il tempo.

E poi ci siamo noi. Parte del filo rosso, delle scelte, del tempo, ma oltre il filo rosso, le scelte, il tempo. Lì, in quella oltre-dimensione viviamo noi due, incapaci di sceglierci in questa vita, ma senza la volontà di cercare le forbici per recidere il filo.

Forse un giorno ci sveglieremo, l’uno accanto all’altra, abbracciati nudi. Il filo appoggiato sul comodino. Le forbici nascoste nel cassetto chiuso a chiave. La chiave buttata via.

Forse quel giorno scopriremo che hanno trovato l’oltre-dimensione.

Lascia(ti) andare: l’Oceano.

Lascia(ti) andare: l’Oceano.

Planare sopra le cose con leggerezza

Calvino diceva che bisogna planare con leggerezza sopra alle cose, il che non vuol dire per niente essere superficiali, ma semplicemente avere quel modo leggero di affrontare i problemi.  Intellettualmente parlando, il discorso non fa una piega.

Nella realtà, ho 23 anni e ancora non ho ben capito come si faccia. Stamattina mi hanno rubato la bici, ho ricevuto una mail che non ho un correlatore e ho lavorato, anche oggi che è sabato. Nonostante tutto, mi ricordo che può andare sempre peggio e soprattutto quando andava peggio e quindi eccomi qui a pensare a come sentirsi positivi.

Nonostante tutto.

Credo che la mia parola preferita sia nonostante, anche se in pochi ci credono in realtà.

Mi sono capitate sotto gli occhi un paio di foto.

Ho pensato a quanto mi rilassavo mentre mi perdevo tra le pennellate del blu e delle sue sfumature oppure a quanto mi sento a mio agio sott’acqua, in mezzo a tutto quel celeste chiaro. Guardi in basso ed è blu, guardi verso la superficie del mare, lì dove i raggi del sole la colpiscono ed è celeste chiaro. Forse sono gli anni passati ad allenarmi dentro ad una piscina dall’acqua trasparente, con le piastrelle celesti!

Penso alla facilità con cui appena tuffata in acqua, mi sentivo così leggera da poter acquistare metri di acqua bracciata dopo bracciata. Mi manca molto nuotare, allenarmi, avere la testa vuota mentre fissi la riga blu sul fondale. Ti guida. Sai quando devi virare.

Ma non sono mai stata per le cose semplici, ecco perchè alla fine ho scelto di diventare dorsista. Così potevo guardare il tutto da una prospettiva diversa. Ho imparato ad osservare il soffitto di ogni piscina, cercando di trarne vantaggio e le bandierine dei cinque metri sapevano sempre indicarmi il momento giusto per voltarmi e virare.

E quando gareggiavo all’aperto, c’era solo il cielo ed il sole. Non c’erano punti di riferimento e me ne stavo attaccata alla corsia rossa per avere un appiglio, eppure perdersi era troppo facile. Ma osservavo il cielo celeste e luminoso!

Ero già dotata di resilienza ed iniziavo ad allenare i miei tratti del carattere: cadi e ti rialzi. Cadi e ti rialzi. Non importa come, quanto rumore faccia, quanto silenzio assordante ci sia fuori e dentro, tu cadi e ti rialzi. Me ne accorgo solo oggi, quando mi è tornato in mente che bisogna planare con leggerezza sulle cose. Ah Calvino mi sembra troppo saggio per me!

Ho pensato all’Oceano, alla massa d’acqua che colpisce la sabbia o gli scogli. Ho guardato le conchiglie che ho preso qualche mese fa a The Hague, in spiaggia. Mi piace sempre portarmi pezzi di mare in casa. Hanno piccole venature celesti. Resistono alla forza del mare, nonostante siano così fragili.

Se avessi la possibilità di parlare a me stessa, alla me di qualche anno fa, mi sa che mi direi tante cose. E’ un periodo di grande crescita. La pelle vecchia si butta via. E forse le cose vanno lasciate andare, tu stessa devi lasciarti andare. 

E tu, tu che ti diresti se potessi parlare con te di qualche anno fa? Scrivimi qui.